martedì 31 gennaio 2017

I modelli meteorologici avevano previsto tutta questa neve?



di Antonio Frigioni


L’Abruzzo è stato recentemente protagonista inerme di una delle pagine più nere della sua storia. Il 18 gennaio, in soli 60 minuti, si sono registrate nei pressi di Montereale (Aq) tre scosse di magnitudo superiore al quinto grado della scala Richter. Solo qualche ora dopo, una valanga si è staccata nei pressi della parte alta del comune di Farindola (Pe), colpendo l’Hotel Rigopiano e causando la morte di 29 persone. Una fortuita quanto unica concomitanza di eventi che ha generato dolore tra i parenti e gli amici delle vittime, gettando nello sconforto un’intera regione, già falcidiata e stremata dalle precedenti scosse e dalle abbondanti nevicate.
Proprio queste ultime sono state le responsabili di tale disastro. La valanga generatasi era formata prettamente da neve molto pesante e umida, causata da una bassa pressione stazionante per diversi giorni sul medio-basso Tirreno. 
Una configurazione meteorologica piuttosto insolita per due motivi:

1) Le nevicate più intense sull’Abruzzo orientale avvengono generalmente con l’ingresso deciso di aria gelida dai Balcani.
Questa tipologia d’aria è particolarmente fredda perché o proviene direttamente dalle steppe siberiane (denominato Burian) o dall’Artico (attraversando tutto il continente europeo orientale e raffreddandosi ulteriormente). Quando raggiunge l’Adriatico, si carica di umidità provocando precipitazioni intense. Esempi di tale configurazione meteorologica sono l’epifania 2017, il capodanno 2015 (31 gennaio 2014 - 1 gennaio 2015) e il 15 dicembre 2007, quando in tutti i casi gli accumuli hanno superato abbondantemente il metro di altezza. La particolarità di tali nevicate è la qualità della neve, che risulta essere farinosa, soffice e leggera, molto asciutta. Dagli studi condotti in merito, si è scoperto che la densità della neve umida risulta essere circa 3 volte quella della neve asciutta. Solo per farsi un’idea, un metro cubo di neve umida pesa più di un quintale rispetto alla neve farinosa.
Questo spiega in parte come la valanga che ha colpito Rigopiano fosse una valanga con una potenza distruttiva immane.

2) Quando le basse pressioni si formano sul Tirreno, tendono generalmente a traslare verso est, provocando un miglioramento delle condizioni atmosferiche nell’arco di una giornata. 
In questo caso, invece, il minimo ha provocato, per più giorni, una rotazione ciclonica dei venti (in senso antiorario) carichi di aria relativamente calda, umida e instabile che veniva sospinta dal Tirreno verso l’Adriatico. Passando sopra quest’ultimo, gli stessi si caricavano di ulteriore umidità e instabilità, ponendosi dai quadranti orientali-nordorientali. Tale disposizione porta le correnti a ‘scontrarsi’ con le catene dei monti prospicienti l’Adriatico (nel caso dell’Abruzzo il Gran Sasso, i Monti della Laga e della Maiella), deviando i moti verso l’alto (in gergo tecnico STAU). Questo fenomeno contribuisce ad un’intensificazione dei fenomeni già di per sé importante. Un ulteriore aumento delle precipitazioni è legato alla configurazione barica, ovvero a come si presenta la pressione al suolo. Una bassa pressione, ad esempio, può essere sinotticamente schematizzata come una circonferenza isobarica (ovvero un cerchio il cui perimetro rappresenta una pressione atmosferica costante a livello del suolo). Dal centro di bassa pressione verso l’esterno, i gradienti di pressione atmosferica (ovvero le differenze di pressione atmosferica) sono elevatissimi (isobare molto strette). Questo comporta un aumento dell’intensità dei venti. In parole povere, venti molto forti provocano un flusso di goccioline verso l’alto maggiore, aumentando le precipitazioni.

Ma una domanda sorge spontanea: i modelli meteorologici avevano previsto questo?
La risposta è sì. Se si vanno ad analizzare le figure sottostanti, si può notare che i due principali modelli di previsione globale (ECMWF e GFS) prevedevano già da venerdì 13 gennaio quanto descritto sopra, ovvero un minimo stazionante sul medio-basso Tirreno che provoca forti precipitazioni sull’Abruzzo orientale (Figg. 3a-3b).







Figg. 1a-1b: previsione del modello globale europeo ECMWF del 13 gennaio per il 16 gennaio (sx) e per il 17 gennaio (dx). Notare come il minimo (segnato con un cerchio rosso) rimanga posizionato sul medio-basso Tirreno





     

Figg. 2a-2b: previsione del modello globale americano GFS del 13 gennaio per il 16 gennaio (sx) e per il 17 gennaio (dx). Con il cerchio rosso è segnalato il minimo di bassa pressione. Notare come i due modelli siano molto simili nella collocazione del minimo, considerando che la previsione sinottica dell’ECMWF è posticipata di 6 ore rispetto a quella del GFS (spiegando in parte le minime differenze visibili)




    

Figg. 3a-3b: reanalisi della sinottica del 16-17 gennaio. Notare come sia ECMWF che GFS abbiano descritto bene la posizione del minimo centrato a largo della costa campana e calabrese


Inseriamo, come ulteriori immagini, le cartine del Consorzio LAMMA, ovvero il Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale per lo sviluppo sostenibile (Consorzio pubblico tra regione Toscana e CNR) sui quantitativi di neve caduti previsti nelle 24 ore precedenti alla data presa in analisi:

   



Figg. 4a-4b: la figura a sinistra (4a) mostra le previsioni del 14 gennaio sui quantitativi di neve che cadranno nelle varie regioni dalle ore 12UTC del 15 gennaio alle ore 12UTC del 16 gennaio. Notare come nelle zone a ridosso della Maiella e del Gran Sasso erano previsti fino ad un metro e mezzo di neve in sole 24 ore. La figura a destra (4b) mostra le previsioni del 17 gennaio sui quantitativi neve che cadranno nelle varie regioni entro il 18 gennaio alle ore 00UTC. Notare come nelle medesime località si prevedeva almeno un ulteriore metro di neve, che si sarebbe sommato alla già abbondante coltre nevosa presente il 17 gennaio

Ma alla fine si poteva prevedere la valanga di Rigopiano? 
Allo stato attuale delle conoscenze non si può fare una previsione temporale su dove avverranno le valanghe, come accade invece nelle previsioni del tempo. Però è possibile e fondamentale (per ridurre drasticamente tali stragi) realizzare una carta di localizzazione dei pericoli di valanghe, che possa dare una stima probabilistica dell’evento. Quest’ultima può tener conto non solo della complessa geomorfologia del territorio, ma anche dei rischi che possono derivare da un manto nevoso instabile (dovuto per esempio ad un aumento di temperatura o a venti forti), dalla quantità di neve presente al suolo o dalla qualità della stessa . 
E per fortuna queste ultime variabili (temperatura, vento, precipitazioni, umidità, etc.) possono essere calcolate, con una buona affidabilità (e anche grazie all’ausilio di strumentazione moderna come satelliti, radar, lidar), dai modelli meteorologici.